Si è da poco conclusa l’agitazione che ha coinvolto i camici bianchi in Sardegna contro il governo regionale e nazionale.
Secondo quanto dichiarato, le ragioni della protesta sono da ricercare nel rischio, secondo quanto affermato dalla categoria professionale, di incentivare un’assistenza sanitaria non più di qualità e non per tutti.
Tra le pretese da parte dai governanti sono tutto fuorché ragionevoli: viene richiesto ad esempio di dedicare al paziente solo quindici minuti per ogni visita. Questo scatenerebbe una reazione a catena che inciderebbe anche sui costi, poiché le persone andrebbero a caccia di autorimedi, talvolta anche dannosi, specialmente ora con l’avvento di internet.
Ad essere a rischio è l’intero settore, anche sotto il punto di vista generazionale: il ricambio è completamente fermo, solo una percentuale sul totale dei medici in pensione viene sostituito da personale giovane, che necessita tuttavia di un periodo di affiancamento da chi il mestiere lo svolge da tempo.
E non solo, un’altra motivazione è da ricercarsi nei turni di lavoro che prevedono, per le professioni sanitarie, uno stop dopo le 12 ore e 50 minuti. Nel caso in cui le strutture ospedaliere autorizzassero straordinari oltre questa durata, incorrerebbero in multe pecuniarie. La mancanza di personale organico fu infatti la motivazione con cui si giustificò il mancato intervento di trapianto reni, che diventò in seguito un caso nazionale.
Lo sciopero è stato indetto soprattutto per i pazienti , che in termini pratici sono coloro che ci rimetterebbero di più: in una regione che ha di per sé dei problemi nella sanità, averne ulteriori come quello del turn over o di un limite temporale da dedicare a una visita specialistica.
Il problema riguarda le strutture ospedaliere pubbliche, fortunatamente nei grandi centri urbani, esistono numerosi privati e non è difficile trovare ad esempio un buon centro radiologico, o un centro analisi con personale esperto e qualificato.
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