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Macchine da scrivere Olivetti

Fondata il 29 ottobre del 1908, Olivetti è una delle aziende storiche del XX secolo in Italia. Quello che è diventato noto in tutto il mondo come stile Olivetti è frutto di un vero e proprio approccio culturale che caratterizza tutte le fasi di produzione a livello aziendale, in un contesto in cui al design viene attribuito un ruolo di primo piano. È sorprendente pensare che mentre nel nostro Paese ancora mancavano le scuole per il design industriale, i designer lavoravano per Olivetti. D’altro canto, il papà del marchio, Camillo Olivetti, è sempre stato ben consapevole del valore della resa estetica dei prodotti.

L’approccio di Olivetti

In Olivetti i progettisti hanno sempre lavorato gomito a gomito con il designer, in modo che tutte le forme potessero acquisire un senso sul piano comunicativo, a livello ergonomico e dal punto di vista funzionale. come sottolineava Adriano Olivetti, non serve fare le cose bene se poi non si è in grado di farlo sapere alle persone. Non è un caso che sia stato lui, a partire dagli anni ’30, ad attribuire un valore ancora più importante alla comunicazione e al design nell’ambito del modus operandi dell’azienda. Sua è la decisione di chiamare non solo grafici e architetti, ma anche artisti e scrittori che siano in grado di fornire suggestioni nuove e idee inedite. Nascono, così, team di lavoro interdisciplinari.

Le icone del design

I risultati non tardano ad arrivare, come dimostra la creazione di prodotti che si dimostrano nel tempo dei simboli del design, delle icone capaci di rappresentare e di comunicare i sintomi del cambiamento. Un cambio di passo rispetto alle prime macchine standard: la M1 era del 1911, mentre 9 anni più tardi era arrivata la M20 e nel 1930 era toccato alla M40. Si trattava, però, di strumenti ingombranti e pesanti, adatti solo a un utilizzo professionale in contesti lavorativi. C’era bisogno di un cambiamento: anzi, di una rivoluzione vera e propria, che non tardò ad arrivare.

La macchina da scrivere MP1

La MP1 può essere considerata la pioniera, e non solo perché si trattava della prima macchina per scrivere portatile che sia mai stata realizzata nel nostro Paese a livello industriale. Il cambiamento che apportava riguardava molteplici aspetti, a cominciare – appunto – dal design: la sua linea più leggera e appiattita prendeva il posto delle forme monumentali a cui si era stati abituati fino a quel momento. L’intuizione fu di Adriano Olivetti con la collaborazione di Gino Martinoli, anche se fu Riccardo Levi a occuparsi in effetti dello sviluppo del progetto, mentre il designer era opera di Aldo Magnelli. Un design studiato per essere piacevole e al tempo stesso leggero, in modo che la macchina per scrivere non fosse solo uno strumento di lavoro, ma anche un oggetto da sfoggiare in casa al pari di tutti gli altri oggetti di arredamento.

Che cosa è cambiato con la MP1

La M1 e la M20 avevano un colore solo, il nero. Diverso fu l’approccio scelto per la MP1, disponibile in ben otto tonalità cromatiche differenti: il nero, appunto, ma anche il grigio, il verde, il marrone, l’azzurro, il blu e il rosso. Questa macchina da scrivere era alta poco meno di 12 centimetri, vale a dire circa la metà rispetto alla M1. Il confronto con la capostipite, poi, metteva in evidenza un peso di poco più di 5 chili a fronte dei 17 del modello precedente. Immessa sul mercato nel 1932, era una macchina per scrivere destinata evidentemente agli utenti privati oltre che agli uffici. E se prima la meccanica veniva messa in mostra, con la MP1 era coperta dalla carrozzeria.

Dopo la MP1

Ma con la MP1 le innovazioni di Olivetti non si arrestarono di certo. Nel 1935, per esempio, fu la volta della Studio 42, che segnò l’inaugurazione di un modo di lavorare che da quel momento sarebbe stato il tratto distintivo dell’azienda, con una collaborazione molto stretta tra i designer e i progettisti sin dall’inizio. Tre anni più tardi cominciò a collaborare con Olivetti Marcello Nizzoli, eclettico architetto che da allora avrebbe rivestito una funzione fondamentale per il successo del brand, dando vita a prodotti capaci di coniugare una forte sincerità espressiva con i più elevati standard di funzionalità.

La macchina per scrivere Lexikon 80

Un esempio indicativo da questo punto di vista è rappresentato dalla Lexikon 80, macchina per scrivere lanciata nel 1948 che Nizzoli aveva disegnato su progetto di Giuseppe Beccio. Le linee morbide dei due pezzi della copertura e del coperchio erano frutto di un inedito processo di pressofusione per mezzo del quale era possibile studiare la carrozzeria come se si avesse a che fare con un involucro solo da modellare. Una soluzione che per quei tempi era rivoluzionaria, simbolo di una costante attenzione alla resa estetica concretizzata dalla tecnologia.

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