Non è solo il settore della sicurezza a fare un uso sempre più frequente del riconoscimento facciale. Se è vero che gli scopi di sorveglianza attirano molte attenzioni, è altrettanto vero che questa tecnica è destinata a entrare a far parte di molti altri campi della nostra vita di tutti i giorni, soprattutto per finalità commerciali. Ma di che cosa si tratta nello specifico? Stiamo parlando di una tecnica biometrica per mezzo della quale è possibile identificare una persona in maniera univoca attraverso l’analisi e il confronto con modelli che possono richiamare i contorni del suo viso.
Come avviene il riconoscimento facciale
Non esiste una sola tecnica di riconoscimento facciale: è possibile distinguere, per esempio, quello regionale adattativo e quello generalizzato. In quasi tutti i sistemi, comunque, il funzionamento avviene sulla base dei vari punti nodali di una faccia. L’identificazione della persona avviene sulla base dei valori che vengono misurati in funzione della variabile associata alle parti del viso. Il tutto si svolge in maniera rapida, anche perché la tecnologia 3D e gli altri approcci più avanzati stanno garantendo una rapida evoluzione delle tecniche di riconoscimento facciale, che così fanno venir meno i problemi che caratterizzano i sistemi attuali.
I punti di forza
Ma che cosa cambia tra il riconoscimento facciale e le altre tecniche biometriche? Prima di tutto, il fatto che si tratta di un approccio non a contatto. Si catturano le immagini a distanza, e il soggetto interessato non è chiamato a interagire in maniera diretta. Inoltre, l’aspetto economico è favorevole: stiamo parlando di una tecnologia che richiede un’elaborazione meno dispendiosa rispetto a quella che contraddistingue tecniche biometriche di altro tipo. Anche per questo motivo vi si può ricorrere per rilevare la partecipazione di persone a eventi o la loro presenza in determinati luoghi.
I punti deboli
L’altro lato della medaglia, tuttavia, riguarda le condizioni in cui il riconoscimento facciale può essere utilizzato: è chiaro, infatti, che vi si può far affidamento solo se l’illuminazione è buona e c’è abbastanza luce per garantire una messa a fuoco ottimale del viso. Se la luce non è sufficiente, il livello di affidabilità si riduce, e lo stesso avviene anche quando un volto è oscurato, almeno in misura parziale. C’è, poi, un altro aspetto che deve essere preso in considerazione: la riduzione di efficacia che si registra con le varie espressioni del viso.
La tecnologia
Quasi tutti i programmi di riconoscimento facciale funzionano per mezzo di immagini a due dimensioni, sia perché le fotocamere realizzano scatti in 2D, sia perché le immagini sui social network – da Instagram a Facebook – sono in 2D. Il problema è che i visi in due dimensioni non garantiscono un livello di qualità elevato in termini di accuratezza, dal momento che si tratta di immagini prive di profondità e piatte che fanno venir meno particolari caratteristiche di identificazione. In sostanza, anche se le immagini 2D consentono di misurare la larghezza della bocca o la distanza tra le pupille, altre caratteristiche non possono essere esaminate: per esempio la prominenza della fronte o la lunghezza di un naso.
Il riconoscimento a tre dimensioni
La tecnologia 3D può comunque essere impiegata per rimediare a tali inconvenienti. La tecnica denominata lidar è quella che viene adoperata per il riconoscimento facciale a tre dimensioni, e non è molto diversa dal sonar che si adopera in ambito marittimo. In pratica, una specie di impulso laser viene proiettato sul volto dai dispositivi di scansione. Tale impulso si riflette sul volto per poi essere ripreso mediante una fotocamera infrarossi del telefono. Il dispositivo è in grado di misurare quanto tempo occorre affinché ciascun bit di luce infrarossi venga rimbalzato dal volto e poi ritorni sul telefono stesso. La tridimensionalità funziona proprio per questo: per esempio il percorso della luce che viene riflessa dalle orecchie è più lungo di quello della luce che viene riflessa dal naso. Tali informazioni vengono sfruttate dalla telecamera IR per realizzare una mappa di profondità unica di tutta la faccia. La tecnologia 3D, quindi, può integrare quella 2D essendo in grado di incrementare in misura notevole il livello di precisione garantito dal programma di riconoscimento facciale. Al tempo stesso, si riduce il rischio di incappare in falsi positivi.
Le termocamere
Nel caso in cui si debba procedere a un riconoscimento facciale in condizioni di scarsa luminosità, invece, il problema può essere risolto con il ricorso a una termocamera. Uno strumento di questo tipo è diverso dalla lidar in quanto non emette luce infrarossi: si limita a rilevare, invece, la luce infrarossi che proviene dagli oggetti. Quelli freddi emettono poca luce infrarossi, mentre quelli caldi ne generano molta di più. Le termocamere più all’avanguardia dal punto di vista tecnologico, poi, contribuiscono a un riconoscimento facciale ottimale perché hanno la capacità di rilevare minime differenze di temperatura (per questo sono termocamere) sulle superfici.
Come funziona una termocamera
Per usufruire del riconoscimento facciale garantito da una termocamera, c’è bisogno di foto multiple, e ognuna di queste immagini si focalizza su uno specifico spettro di luce infrarossa. I dettagli maggiori vengono forniti dallo spettro a onde lunghe. Le immagini infrarossi, inoltre, sono in grado di estrarre dal viso di un soggetto la mappatura dei suoi vasi sanguigni, che può essere sfruttata nello stesso modo delle impronte digitali. Non solo: vi si può ricorrere per identificare delle cicatrici o delle contusioni.
Lo sblocco dei dispositivi con il viso
Una delle applicazioni più comuni della tecnica di riconoscimento facciale consiste nello sblocco dei dispositivi tramite il viso. Uno smartphone, per esempio, fotografa la faccia dell’utente ed effettua una misurazione della distanza dei suoi tratti. Nel momento in cui si deve sbloccare il device, è sufficiente inquadrarsi il viso. Va detto che, almeno per il momento, dispositivi diversi possono garantire livelli di accuratezza estremamente differenti. Ma anche gli stessi filtri di Snapchat o di Instagram lavorano sulla base del riconoscimento facciale, in virtù di algoritmi che capiscono se una bocca è aperta, dove si guarda, e così via.