Un nome che fa discutere: AdenSpy
Ne hai sentito parlare, vero? AdenSpy. Sta facendo un gran rumore negli ultimi tempi. Non c’è giorno che non spunti fuori in una discussione, su qualche forum o nei gruppi Facebook di genitori preoccupati (e pure un po’ ansiosi, diciamocelo). Ma cos’è davvero? E perché sembra essere diventato l’argomento del momento? Provo a raccontartelo come lo spiegherei a un amico al bar, tra una chiacchiera e l’altra.
AdenSpy è un software di controllo parentale. In pratica, un’app che permette ai genitori di tenere d’occhio cosa combinano i figli con i loro dispositivi. Sì, hai capito bene: sapere dove sono, cosa fanno, con chi parlano e perfino cosa si dicono. Fa un po’ James Bond, lo ammetto, e forse è proprio per questo che se ne parla così tanto. Alcuni lo vedono come un’ancora di salvezza in questo mare agitato che è internet, altri invece storcono il naso e parlano di violazione della privacy. E qui, amico mio, si apre un vero vaso di Pandora.
AdenSpy e il suo modo di funzionare (spoiler: è più semplice di quanto immagini)
Ti confesso che quando ne ho sentito parlare per la prima volta, ho pensato: “Figurati se riesco a farlo funzionare!”. E invece no, AdenSpy è una di quelle cose che, una volta capite le basi, vanno avanti praticamente da sole. Come quando impari a usare la bici senza mani e poi non vuoi più tornare indietro.
Si installa sullo smartphone (o tablet) del ragazzo e da lì, silenzioso come un gatto che si muove nella notte, comincia a fare il suo lavoro. Registra, monitora, ascolta. Sì, anche ascolta. Se il microfono del dispositivo capta un rumore forte o strano, AdenSpy registra. E invia tutto al genitore. Hai presente quei film in cui il detective mette una microspia sotto al tavolo? Ecco, più o meno è la stessa idea, ma applicata al mondo reale. Non serve essere degli esperti informatici per farlo partire, basta seguire due o tre istruzioni chiare. Poi, dal pannello di controllo del genitore, si possono leggere messaggi, vedere la cronologia di navigazione, sapere dove si trova il dispositivo in ogni momento. E il bello (o il brutto, dipende dai punti di vista) è che tutto questo succede senza che il ragazzo se ne accorga.
Perché AdenSpy è diventato il centro di tante discussioni? La verità sta nel mezzo (forse)
Se ne parla tanto, ma proprio tanto. E la verità? Come spesso succede, sta da qualche parte nel mezzo. Da una parte ci sono i genitori che lo vedono come un dono dal cielo: “Finalmente so dov’è mio figlio senza doverlo stressare con cento chiamate!”. E ci sta, eh. In un mondo dove tutto è a portata di click, sapere che tuo figlio non si è perso in qualche brutta situazione è un bel sollievo.
Dall’altra parte però c’è il tema spinoso della privacy. “Ma non è che così li controlliamo troppo?”, si chiedono alcuni. Eh già. Il rischio di passare da genitore attento a genitore invadente è dietro l’angolo. AdenSpy fa discutere proprio per questo: dove finisce il diritto alla protezione e dove inizia quello alla libertà? Non è una domanda da poco, e infatti divide. Io stesso, se devo dirla tutta, sono combattuto. Perché da una parte penso che sapere se mio figlio si sta cacciando nei guai è importante, ma dall’altra so che è essenziale fidarsi e lasciare spazio.
Eppure, se AdenSpy è così sulla bocca di tutti, un motivo ci sarà. Forse perché siamo in un momento storico in cui la tecnologia ha corso più veloce delle regole, lasciando i genitori un po’ disorientati. E AdenSpy, volenti o nolenti, offre un modo per recuperare il controllo.
Il mio pensiero su AdenSpy? Un’arma a doppio taglio, ma utile se usata con la testa
Se me lo chiedi così, di punto in bianco, ti direi che AdenSpy è uno strumento che può fare la differenza. A patto di non esagerare. È un po’ come avere un coltellino svizzero: utilissimo, ma se lo usi nel modo sbagliato rischi di farti male. Lo dico perché mi è capitato di leggere storie di genitori che si sono affidati a AdenSpy quasi ossessivamente, controllando ogni singolo movimento dei figli, ogni chat, ogni audio. Ecco, quello secondo me è il modo peggiore di usarlo.
D’altra parte, in un’epoca in cui i ragazzi si trovano catapultati in un mondo virtuale che spesso nasconde più trappole che opportunità, AdenSpy diventa uno strumento che può dare una grossa mano. Se usato con criterio, se spiegato, se condiviso con i figli stessi (magari non nei dettagli, ma almeno nella logica di fondo), può essere uno strumento per costruire consapevolezza e sicurezza.
In conclusione: AdenSpy non è il male, ma nemmeno la bacchetta magica
Sai cosa penso alla fine? Che AdenSpy è solo uno dei tanti strumenti che oggi possiamo usare per vivere meglio la relazione con i nostri figli nel mondo digitale. Non è la soluzione a tutti i problemi, non è il nemico numero uno della libertà individuale. È semplicemente un mezzo. Come lo usi, quello sì che fa la differenza. Se ci costruisci sopra un dialogo, può diventare un alleato potente. Se lo usi per controllare e basta, diventa solo una prigione invisibile.
Quindi AdenSpy, sì. Ma con testa, cuore e soprattutto tanto buon senso. Perché alla fine, la tecnologia siamo noi a deciderla. E questo vale anche per i nostri figli.